Didone abbandonata, libretto, Roma, de’ Rossi, 1747

 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
  Appartamenti reali.
 
 DIDONE con foglio, OSMIDA e poi SELENE
 
 DIDONE
 Già so che si nasconde
 de' Mori il re sotto il mentito Arbace.
 Ma sia qual più gli piace, egli m'offese
 e senz'altra dimora
550o suddito o sovrano io vuo' che mora.
 OSMIDA
 Sempre in me de' tuoi cenni
 il più fedele esecutor vedrai.
 DIDONE
 Premio avrà la tua fede.
 OSMIDA
 E qual premio, o regina? Adopro invano
555per te fede e valore.
 Occupa solo Enea tutto il tuo core.
 DIDONE
 Taci, non rammentar quel nome odiato.
 È un perfido, è un ingrato,
 è un'alma senza legge e senza fede.
560Contro me stessa ho sdegno,
 perché finor l'amai.
 OSMIDA
 Se lo torni a mirar ti placherai.
 DIDONE
 Ritornarlo a mirar! Per finch'io viva
 mai più non mi vedrà quell'alma rea.
 SELENE
565Teco vorrebbe Enea
 parlar se gliel concedi.
 DIDONE
 Enea! Dov'è?
 SELENE
                            Qui presso
 che sospira il piacer di rimirarti.
 DIDONE
 Temerario. Che venga. Osmida parti. (Selene parte)
 OSMIDA
570Io non tel dissi? Enea
 tutta del cor la libertà t'invola.
 DIDONE
 Non tormentarmi più, lasciami sola.
 
    Lungi dal tuo diletto
 ti credi andar disciolta,
575miralo un'altra volta,
 e allor mi dirai,
 se tu l'odiasti mai,
 o se l'adori ancor.
 
 Che in faccia al caro bene
580per fin l'error di pria
 o non si sa qual sia,
 o merito diviene
 anche l'istesso error. (Parte)
 
 SCENA II
 
 DIDONE ed ENEA
 
 DIDONE
 Come! Ancor non partisti? Adorna ancora
585questi barbari lidi il grand'Enea?
 E pur io mi credea
 che già varcato il mar d'Italia in seno
 in trionfo traessi
 popoli debellati e regi oppressi.
 ENEA
590Quest'amara favella
 mal conviene al tuo cor bella reina.
 Del tuo, dell'onor mio
 sollecito ne vengo. Io so che vuoi
 del moro il fiero orgoglio
595colla morte punir.
 DIDONE
                                    E questo è il foglio.
 ENEA
 La gloria non consente
 ch'io vendichi in tal guisa i torti miei.
 Se per me lo condanni...
 DIDONE
 Condannarlo per te! Troppo t'inganni.
600Passò quel tempo Enea
 che Dido a te pensò; spenta è la face,
 è sciolta la catena
 e del tuo nome or mi rammento appena.
 ENEA
 Sappi che re de' Mori
605è l'orator fallace.
 DIDONE
 Io non so qual ei sia, lo credo Arbace.
 ENEA
 Oh dio, colla sua morte
 tutta contra di te l'Africa irriti.
 DIDONE
 Consigli non desio,
610tu provedi al tuo regno, io penso al mio.
 Senza di te finor leggi dettai,
 sorger senza di te Cartago io vidi.
 Felice me se mai
 tu non giungevi ingrato a questi lidi.
 ENEA
615Se sprezzi il tuo periglio
 donalo a me. Grazia per lui ti chieggio.
 DIDONE
 Sì, veramente io deggio
 il mio regno e me stessa al tuo gran merto.
 A sì fedele amante,
620ad eroe sì pietoso, a' giusti prieghi
 di tanto intercessor nulla si nieghi.
 Inumano, tiranno. E' forse questo
 l'ultimo dì che rimirar mi dei,
 vieni sugli occhi miei,
625sol d'Arbace mi parli e me non curi.
 T'avessi pur veduto
 d'una lagrima sola umido il ciglio.
 Uno sguardo, un sospiro,
 un segno di pietade in te non trovo.
630E poi grazie mi chiedi?
 Per tanti oltraggi ho da premiarti ancora?
 Perché tu lo vuoi salvo, io vuo' che mora. (Va al tavolino e sottoscrive il foglio)
 ENEA
 Idol mio, che pur sei
 ad onta del destin l'idolo mio,
635che posso dir, che giova
 rinovar co' sospiri il tuo dolore?
 Ah se per me nel core
 qualche tenero affetto avesti mai
 placa il tuo sdegno e rasserena i rai.
640Quell'Enea tel domanda
 che tuo cor, che tuo bene un dì chiamasti,
 quel che finora amasti
 più della vita tua, più del tuo soglio,
 quello...
 DIDONE
                  Basta, vincesti, eccoti il foglio.
645Vedi quanto t'adoro ancora ingrato.
 Con un tuo sguardo solo
 mi togli ogni difesa e mi disarmi.
 Ed hai cor di tradirmi? E puoi lasciarmi?
 
    Ah non lasciarmi no
650bell'idol mio.
 Di chi mi fiderò
 se tu m'inganni.
 
    Di vita mancherei
 nel dirti addio.
655Che viver non potrei
 fra tanti affanni. (Parte)
 
 SCENA III
 
 ENEA, poi IARBA
 
 ENEA
 Io sento vacillar la mia costanza
 a tanto amore appresso
 e mentre salvo altrui perdo me stesso.
 IARBA
660Che fa l'invitto Enea? Gli veggo ancora
 del passato timore i segni in volto.
 ENEA
 Iarba da lacci è sciolto?
 Chi ti diè libertà?
 IARBA
                                    Permette Osmida
 che per entro la reggia io mi raggiri
665ma vuol ch'io vada errando
 per sicurezza tua senza il mio brando.
 ENEA
 Così tradisce Osmida
 il comando real?
 IARBA
                                 Dimmi, che temi?
 Ch'io m'involi al castigo o a queste mura?
670Troppo vi resterò per tua sventura.
 ENEA
 La tua sorte presente
 è degna di pietà, non di timore.
 IARBA
 Risparmia al tuo gran core
 questa inutil pietà. So che a mio danno
675della regina irriti i sdegni insani.
 Solo in tal guisa sanno
 gli oltraggi vendicar gli eroi troiani.
 ENEA
 Leggi. La regal donna in questo foglio
 la tua morte segnò di propria mano.
680S'Enea fosse africano
 Iarba estinto saria. Prendi ed impara
 barbaro, discortese
 come vendica Enea le proprie offese. (Lacera il foglio)
 
    Vedi nel mio perdono
685perfido traditor
 quel generoso cor
 che tu non hai.
 
    Vedilo e dimmi poi
 se gli africani eroi
690tanta virtù nel seno
 ebbero mai. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 IARBA solo
 
 IARBA
 Così strane venture io non intendo.
 Pietà nel mio nemico,
 infedeltà nel mio seguace io trovo.
695Ah forse a danno mio
 l'uno e l'altro congiura.
 Ma di lor non ho cura.
 Pietà finga il rivale,
 sia l'amico fallace,
700non sarà di timor Iarba capace.
 
    Son qual fiume che gonfio d'umori
 quando il gelo si sciolgie in torrenti
 selve e armenti, capanne, e pastori
 porta seco, e ritegno non ha.
 
705Se si vede fra gli argini stretto
 sdegna il letto, confonde le sponde,
 e superbo fremendo sen va. (Parte)
 
 SCENA V
 
 ENEA, poi ARASPE
 
 ENEA
 Fra il dovere e l'affetto
 ancor dubbioso in seno ondeggia il core.
710Purtroppo il mio valore
 all'impero servì d'un bel sembiante.
 Ah una volta l'eroe vinca l'amante.
 ARASPE
 Di te finora in traccia
 scorsi la regia.
 ENEA
                             Amico
715vieni fra queste braccia.
 ARASPE
 Allontanati Enea, son tuo nemico; (Snuda la spada)
 snuda, snuda quel ferro,
 guerra con te, non amicizia io voglio.
 ENEA
 Tu di Iarba all'orgoglio
720prima m'involi e poi
 guerra mi chiedi ed amistà non vuoi?
 ARASPE
 T'inganni, allor difesi
 la gloria del mio re, non la tua vita.
 Con più nobil ferita
725rendergli a me s'aspetta
 quella ch'io tolsi a lui giusta vendetta.
 ENEA
 Enea stringer l'acciaro
 contro il suo difensore
 ARASPE
                                           Olà, che tardi?
 ENEA
 La mia vita è tuo dono.
730Prendila pur se vuoi, contento io sono.
 Ma ch'io debba a tuo danno armar la mano
 generoso guerrier lo speri invano.
 ARASPE
 Se non impugni il brando
 a ragion ti dirò codardo e vile.
 ENEA
735Questa ad un cor virile
 vergognosa minaccia Enea non soffre.
 Ecco per sodisfarti io snudo il ferro.
 Ma prima i sensi miei
 odan gli uomini tutti, e tutti i dei.
740Io son d'Araspe amico,
 io debbo la mia vita al suo valore.
 Ad onta del mio core
 discendo al gran cimento
 di codardia tacciato
745e per non esser vil mi rendo ingrato. (In atto di cominciar a battersi sopraggiunge)
 
 SCENA VI
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
 Tanto ardir nella regia? Olà fermate!
 Così mi serbi fé? Così difendi
 Araspe traditor d'Enea la vita?
 ENEA
 No principessa. Araspe
750non ha di tradimenti il cor capace.
 SELENE
 Chi di Iarba è seguace
 esser fido non può.
 ARASPE
                                      Bella Selene
 puoi tu sola avanzarti
 a tacciarmi così.
 SELENE
                                 T'accheta e parti.
 ARASPE
 
755   Tacerò se tu lo brami
 ma fai torto alla mia fede,
 se mi chiami traditor.
 
    Porterò lontano il piede
 ma placati i sdegni tuoi
760so che puoi n'avrai rossor. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 ENEA e SELENE
 
 ENEA
 Allor che Araspe a provocar mi venne
 del suo signor sostenne
 le ragioni con me. La sua virtude
 se condannar pretendi
765troppo quel core ingiustamente offendi.
 SELENE
 Ah generoso Enea
 non fidarti così. D'Osmida ancora
 all'amistà tu credi e pur t'inganna.
 ENEA
 Lo so, ma come Osmida
770non serba Araspe in seno anima infida.
 SELENE
 Sia qual ei vuole Araspe, or non è tempo
 di favellar di lui. Brama Didone
 teco parlar.
 ENEA
                        Poc'anzi
 dal suo real soggiorno io trassi il piede.
775Se di nuovo mi chiede
 ch'io resti in questa arena
 invan si accrescerà la nostra pena.
 SELENE
 Come fra tanti affanni
 cor mio chi t'ama abbandonar potrai?
 ENEA
780Selene a me cor mio!
 SELENE
 È Didone che parla e non son io.
 ENEA
 Se per la tua germana
 così pietosa sei
 non curar più di me, ritorna a lei.
785Dille che si consoli,
 che ceda al fato e rassereni il ciglio.
 SELENE
 Ah no, cangia ben mio, cangia consiglio.
 ENEA
 Tu mi chiami tuo bene!
 SELENE
 È Didone che parla e non Selene.
790Se non l'ascolti almeno
 tu sei troppo inumano.
 ENEA
 L'ascolterò ma l'ascoltarla è vano.
 
    Ah le sue belle lagrime
 in quell'estremo addio.
795Faran, che al partir mio
 io mora di dolor.
 
    Ma la mia morte barbara,
 tutta la pena mia
 non potrà far ch'io sia
800infido al genitor. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 SELENE
 
 SELENE
 Chi udì, chi vidde mai
 del mio più strano amor, sorte più ria?
 Taccio la fiamma mia
 e vicina al mio bene
805so scoprirgli l'altrui, non le mie pene.
 
    Veggo la sponda,
 sospiro il lido;
 e pur dall'onda
 fuggir non so.
 
810   Se il mio dolore
 scoprir diffido,
 pietoso amore,
 che mai farò? (Parte)
 
 SCENA IX
 
 Camera con sedie.
 
 DIDONE, poi ENEA
 
 DIDONE
 Incerta del mio fato
815io più viver non voglio. È tempo ormai
 che per l'ultima volta Enea si tenti.
 Se dirgli i miei tormenti,
 se la pietà non giova,
 faccia la gelosia l'ultima prova.
 ENEA
820Ad ascoltar di nuovo
 i rimproveri tuoi vengo o regina.
 So che vuoi dirmi ingrato,
 perfido, mancator, spergiuro, indegno.
 Chiamami come vuoi, sfoga il tuo sdegno.
 DIDONE
825No, sdegnata io non sono. Infido, ingrato,
 perfido, mancator più non ti chiamo.
 Rammentarti non bramo i nostri ardori,
 da te chiedo consigli e non amori.
 Siedi. (Siedono)
 ENEA
                (Che mai dirà!)
 DIDONE
                                               Già vedi, Enea,
830che fra nemici è il mio nascente impero.
 Sprezzai finora, è vero,
 le minaccie e 'l furor; ma Iarba offeso
 quando priva sarò del tuo sostegno
 mi torrà per vendetta, e vita, e regno.
835In così dubbia sorte
 ogni rimedio è vano.
 Deggio incontrar la morte
 o al superbo african porger la mano.
 L'uno e l'altro mi spiace e son confusa.
840Alfin femina e sola
 lungi dal patrio ciel perdo il coraggio
 e non è meraviglia
 s'io risolver non so; tu mi consiglia.
 ENEA
 Dunque fuor che la morte
845o il funesto imeneo,
 trovar non si potria scampo migliore?
 DIDONE
 V'era purtroppo.
 ENEA
                                  E quale?
 DIDONE
 Se non sdegnava Enea d'esser mio sposo
 l'Africa avrei veduta
850dall'arabico seno al mar d'Atlante
 in Cartago adorar la sua regnante.
 E di Troia e di Tiro
 rinovar si potea... Ma che ragiono.
 L'impossibil mi fingo e folle io sono.
855Dimmi, che far degg'io? Con alma forte
 come vuoi sceglierò Iarba o la morte.
 ENEA
 Iarba o la morte! E consigliarti io deggio?
 Colei che tanto adoro
 all'odiato rival vedere in braccio?
860Colei...
 DIDONE
                Se tanta pena
 trovi nelle mie nozze, io le ricuso.
 Ma per tormi agl'insulti
 necessario è il morir. Stringi quel brando,
 svena la tua fedele.
865È pietà con Didone esser crudele.
 ENEA
 Ch'io ti sveni! Ah più tosto
 cada sopra di me del ciel lo sdegno.
 Prima scemin gli dei,
 per accrescer tuoi giorni, i giorni miei.
 DIDONE
870Dunque a Iarba mi dono. Olà? (Esce un paggio)
 ENEA
                                                           Deh ferma.
 Troppo, oh dio, per mia pena
 sollecita tu sei.
 DIDONE
                              Dunque mi svena.
 ENEA
 No; si ceda al destino. A Iarba stendi
 la tua destra real; di pace priva
875resti l'alma d'Enea, pur che tu viva.
 DIDONE
 Giacché d'altri mi brami
 appagarti saprò. Iarba si chiami. (Parte il paggio e un altro porta da sedere per Iarba)
 Vedi quanto son io
 ubbidiente a te.
 ENEA
                                Regina addio. (S’alza e seco Didone)
 DIDONE
880Dove, dove? T'arresta.
 Del felice imeneo
 ti voglio spettatore.
 (Resister non potrà).
 ENEA
                                         (Costanza o core).
 
 SCENA X
 
 IARBA senza spada e detti
 
 IARBA
 Didone a che mi chiedi?
885Sei folle se mi credi
 dall'ira tua, da tue minaccie oppresso,
 non si cangia il mio cor, sempre è l'istesso.
 ENEA
 (Che arroganza!)
 DIDONE
                                  Deh placa
 il tuo sdegno o signor. Tu col tacermi
890il tuo grado, il tuo nome
 a gran rischio esponesti il tuo decoro.
 Ed io... Ma qui t'assidi
 e con placido volto
 ascolta i sensi miei.
 IARBA
                                       Parla, t'ascolto. (Siedono Iarba e Didone)
 ENEA
895Permettimi che ormai... (In atto di partire)
 DIDONE
                                                Fermati e siedi.
 Troppo lunghe non sian le tue dimore.
 (Resister non potrà).
 ENEA
                                         (Costanza o core).
 IARBA
 Eh vada. Allor che teco
 Iarba soggiorna ha da partir costui.
 ENEA
900(Ed io lo soffro!).
 DIDONE
                                  In lui
 invece d'un rival trovi un amico.
 Ei sempre a tuo favore
 meco parlò. Per suo consiglio io t'amo.
 Se credi menzognero
905il labro mio, dillo tu stesso? (Ad Enea)
 ENEA
                                                     È vero.
 IARBA
 Dunque nel re de' Mori
 altro merto non v'è che un suo consiglio?
 DIDONE
 No Iarba, in te mi piace
 quel regio ardir che ti conosco in volto.
910Amo quel cor sì forte,
 sprezzator de' perigli e della morte.
 E se il ciel mi destina
 tua compagna e tua sposa...
 ENEA
                                                    Addio regina. (S’alza di nuovo)
 Basta che fin ad ora
915t'abbia ubbidito Enea.
 DIDONE
                                            Non basta ancora.
 Siedi pur un momento.
 (Comincia a vacillar).
 ENEA
                                          (Questo è tormento!) (Torna a sedere)
 IARBA
 Troppo tardi o Didone
 conosci il tuo dover. Ma pure io voglio
920donar gli oltraggi miei
 tutti alla tua beltà.
 ENEA
                                    (Che pena o dei!)
 IARBA
 In pegno di tua fede
 dammi dunque la destra.
 DIDONE
                                                 Io son contenta.
 A più gradito laccio amor pietoso
925stringer non mi potea.
 ENEA
 Più soffrir non si può. (Si leva agitato)
 DIDONE
                                            Qual ira Enea?
 ENEA
 Ma che vuoi? Non ti basta
 quanto finor soffrì la mia costanza?
 DIDONE
 Eh taci.
 ENEA
                  Che tacer? Tacqui abbastanza.
930Vuoi darti al mio rivale,
 brami che tel consigli,
 tutto faccio per te, che più vorresti?
 Ch'io ti vedessi ancor fra le sue braccia?
 Dimmi che mi vuoi morto e non ch'io taccia. (In atto di partire)
 DIDONE
935Odi; a torto ti sdegni. (S’alza Didone)
 Sai che per ubbidirti...
 ENEA
                                            Intendo intendo.
 Io sono il traditor, son io l'ingrato,
 tu sei quella fedele
 che per me perderebbe e vita e soglio
940ma tanta fedeltà veder non voglio. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 DIDONE e IARBA
 
 DIDONE
 Senti. (Verso Enea)
 IARBA
                Lascia che parta. (S’alza Iarba)
 DIDONE
                                                 I sdegni suoi
 a me giova placar.
 IARBA
                                    Di che paventi?
 Dammi la destra e mia
 di vendicarti poi la cura sia.
 DIDONE
945D'imenei non è tempo.
 IARBA
 Perché?
 DIDONE
                  Più non cercar.
 IARBA
                                                Saperlo io bramo.
 DIDONE
 Giacché vuoi, tel dirò. Perché non t'amo,
 perché mai non piacesti agli occhi miei,
 perché odioso mi sei, perché mi piace
950più che Iarba fedele Enea fallace.
 IARBA
 Dunque, perfida, io sono
 un oggetto di riso agli occhi tuoi?
 Ma sai chi Iarba sia?
 Sai con chi ti cimenti?
 DIDONE
955So che un barbaro sei, né mi spaventi.
 IARBA
 
    Chiamami pur così.
 Forse pentita un dì
 pietà mi chiederai
 ma non l'avrai da me.
 
960   Quel barbaro che sprezzi
 non placheranno i vezzi;
 né soffrirà l'inganno
 quel barbaro da te. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 DIDONE
 
 DIDONE
 E pure in mezzo all'ire
965trova pace il mio cor. Iarba non temo,
 mi piace Enea sdegnato ed amo in lui
 come effetti d'amor gli sdegni sui.
 Chi sa! Pietosi numi,
 rammentatevi almeno
970che foste amanti un dì come son io
 ed abbia il vostro cor pietà del mio.
 
    Se il mio cor fra tante pene
 si consola, e trova pace,
 se quell'ira del mio bene
975mi lusinga, e all'alma piace,
 la cagion voi ben sapete
 voi ch'avete amore in sen.
 
    Voi sapete, se uno sdegno,
 un sospiro ed un pallore
980è talor verace sdegno,
 che ritorna al primo amore
 il geloso amato ben.
 
 Fine dell’atto secondo